Ferite autoinflitte: Corteggiare la benevolenza dei dittatori del Medio Oriente

La notizia che il Presidente Biden si sta recando questo mese nella regione del Golfo per incontrare i governanti dell’Arabia Saudita, del Bahrein e del resto del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) è un tradimento della sua promessa di mettere “i diritti umani al centro della politica estera, degli attivisti e dei giornalisti pro-democrazia che sono stati imprigionati dai dittatori di questi Paesi e di tutte le persone che sono morte in difesa della democrazia“. Dopo mesi di silenziosa diplomazia per allentare le tensioni tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, al fine di convincere il Regno ad aumentare la produzione globale di petrolio e a contenere l’impennata dei prezzi dovuta alla guerra della Russia in Ucraina, sembra che siano stati compiuti dei “progressi” in tal senso: un incontro tra il presidente Biden e il principe ereditario Mohammed bin Salman, in cui il leader del mondo libero bacia l’anello di un tiranno violento e implora l’accesso a più petrolio. Questo incontro rappresenta un’inquietante inversione della politica da parte di un’amministrazione che in precedenza aveva definito il regno come “di scarso valore sociale” e aveva apertamente propagandato il suo impegno a rendere l’Arabia Saudita un “paria“.

Il sostegno ai dittatori del Medio Oriente, che in ultima analisi utilizzano le relazioni con gli Stati Uniti come strumento per opprimere il proprio popolo, è una minaccia alla sicurezza nazionale. La popolazione di questi Paesi, l’insegnante, il medico, il commesso, il bambino a scuola che chiedono una democrazia propria e manifestato contro le violazioni dei diritti umani di questi dittatori che li tengono sotto scacco, non svaniscono con una repressione governativa sempre più violenta. Il sostegno degli Stati Uniti ai dittatori dell’Arabia Saudita, del Bahrein o degli Emirati Arabi Uniti – tutti nemici della democrazia – che mantengono la loro presa sul potere con metodi che quasi tutta l’umanità ha rifiutato, invia al mondo il segnale che i valori degli Stati Uniti e il loro appellativo di leader del mondo libero potrebbero non significare molto. Se questo è il modo in cui il mondo vede il sostegno incondizionato ai dittatori violenti, la stessa sicurezza nazionale degli USA è minacciata.

Americans for Democracy & Human Rights in Bahrain (ADHRB) esprime profonda preoccupazione riguardo al fatto che questo incontro possa segnare la normalizzazione delle  relazioni tra gli Stati Uniti e il Golfo, semplicemente perché sussiste una maggiore necessità di petrolio. Accettare questo incontro, anche in queste circostanze, sarebbe un errore grave e del tutto evitabile. Il leader del mondo libero che corteggia la benevolenza dei nemici della democrazia e dei violenti autori di abusi dei diritti umani in cambio di petrolio, premia gli autocrati violenti e sminuisce pericolosamente il significato della leadership statunitense.

Dittatori nella regione del Golfo: Abusi impuniti

Per anni, il Regno dell’Arabia Saudita, il Regno del Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti hanno palesemente ignorato gli obblighi derivanti dal diritto internazionale e aumentato la repressione dei difensori dei diritti umani (HRD). Per mettere a tacere i movimenti pro-democrazia ed eliminare tutte le voci di dissenso, le autorità governative si sono impegnate nell’abuso sistematico dei dissidenti pacifici. Le autorità reprimono abitualmente gli attivisti per i diritti umani e gli ecclesiastici indipendenti attraverso interrogatori arbitrari, detenzione e imprigionamento in base a leggi antiterrorismo e anticrimine troppo ampie, utilizzate come mezzo per mascherare la distruzione della società civile e per legittimare gli attacchi agli attivisti pacifici.

Questi Paesi hanno di fatto criminalizzato la libertà di parola e intrapreso azioni non solo per precludere l’esistenza di una società civile funzionale, ma hanno anche adottato misure per sopprimere tutti i media indipendenti. A dimostrazione di quanto le autorità bahreinite e saudite siano disposte a fare per reprimere la retorica pro-democrazia, c’è la totale mancanza di tolleranza per le libertà di espressione, di riunione e di opinione in qualsiasi contesto: entrambi i governi hanno infatti  sistematicamente sottoposto i difensori dei diritti umani e gli attivisti dell’opposizione politica a vessazioni e rappresaglie, sia che si trovino in Arabia Saudita, in Bahrein o all’estero.

Arabia Saudita

Le turbolenze di mercato non dovrebbero, e in effetti per le vittime di abusi non lo fanno, negare la realtà che l’Arabia Saudita ha intensificato l’uso della pena di morte e la presa di mira dei difensori dei diritti umani.  Dal 2015, il numero di esecuzioni in Arabia Saudita è aumentato costantemente, con 184 prigionieri giustiziati solo nel 2019; è altresì preoccupante la recente esecuzione di massa di 81 persone il 12 marzo 2022. La stragrande maggioranza delle persone giustiziate aveva un background sciita ed era stata condannata per reati presumibilmente commessi, come il sostegno ai manifestanti o la diffusione del caos, sulla base di confessioni estorte con la tortura e processi iniqui. Inoltre, i diritti umani sono stati e continuano a essere repressi attraverso detenzioni, arresti e imprigionamenti, e sottoposizione a processi iniqui. Spesso gli attivisti sono tenuti in isolamento e vengono torturati durante gli interrogatori o la detenzione. Le confessioni coercitive rimangono una pratica comune in Arabia Saudita e la cosa peggiore è che i tribunali le utilizzano per emettere delle sentenze. Oltre alla tortura e ai maltrattamenti, il sistema giudiziario saudita non rispetta i diritti ad un processo equo e giusto così come riconosciuto dagli standard minimmi del diritto internazionale. 

La notizia dell’ incontro, che dovrebbe coincidere con una riunione degli Stati del CCG a Riyadh, è particolarmente allarmante vista la ferma posizione assunta dall’amministrazione Biden fino a questo momento in merito alla macabra uccisione dell’ex funzionario e giornalista saudita Jamal Khashoggi e alla guerra in corso nello Yemen. L’omicidio di Khashoggi è stato un tragico esempio della mancanza di rispetto per il diritto internazionale e della prevalente cultura dell’impunità che caratterizza gli Stati del CCG. Per coloro che erano disposti ad accettare la verità, era chiaro da tempo, al di là di ogni ragionevole dubbio, che lo Stato saudita era profondamente coinvolto, se non direttamente responsabile, di questo efferato omicidio.

Inoltre, per otto anni l’Arabia Saudita ha commesso una serie di crimini di guerra durante il conflitto in corso in Yemen. L’Arabia Saudita infatti guida una coalizione che ha condotto numerosi attacchi aerei indiscriminati e sproporzionati che hanno ucciso migliaia di civili e decimato strutture civili come scuolabus, ospedali, centri di detenzione, fabbriche, fattorie, moschee e ponti. Inoltre, le restrizioni alle importazioni imposte dalla coalizione hanno gravemente peggiorato la già disastrosa situazione umanitaria dello Yemen. La coalizione ha attivamente ritardato e deviato il carburante necessario per alimentare i generatori negli ospedali e per pompare l’acqua nelle case, ha chiuso porti vitali, e ha vietato l’ingresso di merci nei porti marittimi controllati dagli Houthi. Si può dunque affermare che le azioni della coalizione sono, almeno in parte,  responsabili della carestia in corso nello Yemen.

Sebbene valga la pena notare che l’amministrazione di Biden ha compiuto diversi passi per riorganizzare le relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Arabia Saudita in materia di diritti umani, tra cui l’imposizione di sanzioni ai funzionari Sauditi implicati nell’omicidio di Khashoggi e la cessazione del sostegno degli Stati Uniti alla guerra in Yemen, sono passati diversi anni da questa brutalità sfrenata, ma non c’è ancora stata una reale assunzione di responsabilità.

Bahrein

In Bahrein la realtà è inquietantemente simile. Le autorità di alto rango, tra cui Nasser bin Hamad al Khalifa, figlio del re, sono state coinvolte in consistenti violazioni dei diritti umani;  i rapporti di numerose organizzazioni per i diritti umani indicano che il principe Nasser era personalmente coinvolto nella tortura di esponenti dell’opposizione, difensori dei diritti umani e atleti. La tortura rimane endemica, in parte a causa della creazione di meccanismi di supervisione che operano con scarsa o nulla indipendenza dalla monarchia. Gli sforzi per indagare sulle denunce di abusi sono limitati e nessun funzionario di alto livello è mai stato condannato. Nel rapporto 2021 sul Bahrein, pubblicato di recente, il Dipartimento di Stato ha richiamato l’attenzione su numerose violazioni dei diritti umani e restrizioni delle libertà fondamentali, tra cui “torture e casi di trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti da parte del governo; condizioni carcerarie dure e pericolose per la vita; detenzioni arbitrarie; prigionieri politici; [e] interferenze arbitrarie o illegali con la privacy“. Inoltre, i rapporti credibili di numerosi gruppi per i diritti umani indicano che la situazione dei diritti umani ha continuato a deteriorarsi negli undici anni trascorsi da quando il governo ha represso con la violenza l’emergere di un movimento democratico di base.

La decisione del Paese di revocare la moratoria sulla pena di morte nel gennaio 2017 ha portato a un aumento del numero di condanne a morte, nonostante la preoccupante diffusione della tortura e le frequenti segnalazioni di confessioni rese sotto costrizione. È allarmante che la pena di morte continui a essere comminata in casi in cui tale punizione non è commisurata al reato. Inoltre, il regime del Bahrein continua a reprimere la società civile e a limitare le attività legate alla fondamentale libertà di espressione. Le forze di sicurezza convocano regolarmente gli attivisti, usano la violenza e l’intimidazione per estorcere false confessioni, puniscono extragiudizialmente i detenuti e reprimono il dissenso. I difensori dei diritti umani e gli attivisti dell’opposizione politica continuano a essere imprigionati per reati direttamente collegati alla loro libertà di espressione.

Emirati Arabi Uniti

Nell’ambito dei maggiori sforzi per affrontare l’attuale scarsità di petrolio, sono state fatte anche delle aperture diplomatiche per allentare le relazioni tese tra l’amministrazione Biden e gli Emirati Arabi Uniti. Per farlo, tuttavia, sarebbe necessario ignorare volontariamente l’orrendo record delle violazioni dei diritti umani dello Stato. Dal 2013 in poi, il governo ha aumentato la sua capacità di  soffocare il dissenso attraverso la promulgazione e l’aggiornamento di leggi restrittive. Ha altresì intrapreso ulteriori azioni per limitare le libertà fondamentali, basandosi su un quadro giuridico già molto esteso, progettato per criminalizzare molte forme di attivismo, critica pacifica e dissenso. I commenti del relatore speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani del febbraio 2021 indicano che la persecuzione dei difensori dei diritti umani negli Emirati Arabi Uniti rimane tuttora sistematica. Inoltre, gli indici indipendenti sulla libertà di stampa classificano attualmente gli Emirati Arabi Uniti tra i più restrittivi al mondo, soprattutto a causa del potere normativo esercitato dal Consiglio nazionale dei media.

Gli attivisti per i diritti umani continuano a essere detenuti arbitrariamente, molestati e sottoposti a processi inficiati da violazioni di norme internazionali. Le persone vengono regolarmente arrestate per aver messo in discussione le azioni delle autorità, per aver invocato la libertà di espressione o per aver criticato il ruolo degli Emirati Arabi Uniti nella guerra in Yemen. I dissidenti arrestati vengono spesso fatti sparire con la forza, viene loro negato l’accesso all’assistenza legale prima del processo, vengono torturati, tenuti in isolamento e costretti a confessare. Nonostante le accuse di tali abusi, i tribunali ignorano o negano abitualmente le richieste degli imputati. Oltre a essere privati dei diritti a un processo equo, a vedersi negate cure mediche adeguate e a subire torture e maltrattamenti, i difensori dei diritti umani sono comunemente detenuti in carcere dopo il completamento della loro condanna senza alcuna giustificazione legale.

Il mondo è diventato meno violento e più tollerante, meno repressivo e più cooperativo, meno autoritario e più democratico, tranne che nei Paesi governati da dittatori; non ci sono eccezioni in Arabia Saudita, Bahrein o Emirati Arabi Uniti. L’abilità di questi Paesi nelle pubbliche relazioni e nelle campagne di marketing suggerirebbe il contrario, ma un’indagine ragionevole sulla situazione dei diritti umani negli ultimi 20 anni dimostrerà a una persona ragionevole, che non sia legata all’ortodossia della politica estera statunitense, che la più grande comunanza tra questi tre Paesi è il desiderio di democrazia della popolazione e la repressione di questa inclinazione naturale da parte dei dittatori. Non ritenere i governanti di questi Paesi responsabili delle loro violenze contro gli attivisti per i diritti e poi corteggiarli per la loro benevolenza e l’accesso al petrolio è una politica estera sbagliata che indebolisce gli Stati Uniti e la loro credibilità.

Raccomandazioni

Anche se un incontro del genere si oppone  all’impegno del Presidente di porre i diritti umani al centro della sua politica estera, e quindi fuorviante, si riconosce che un riavvicinamento è sempre più probabile, dato il continuo attacco della Russia alla democrazia e il controllo che gli Stati del CCG esercitano sulla produzione globale di petrolio. Pertanto, accettando la realtà del contesto di tale incontro, ADHRB propone le seguenti raccomandazioni su come il Presidente Biden potrebbe far leva sulla posizione degli Stati Uniti per incoraggiare serie riforme:

  • Chiedere il rilascio incondizionato dei prigionieri politici e di tutte le persone imprigionate nel CCG per motivi di espressione pacifica, associazione e riunione, compresi i membri dei partiti di opposizione, gli attivisti della società civile e i giornalisti indipendenti;
  • Discutere su come una riforma significativa e il rispetto dei diritti umani in Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti porterebbero tali governi ad essere all’altezza degli standard di governance del XXI secolo;
  • Discutere di come i governi di Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti facciano affidamento su una legislazione vaga in materia di sicurezza nazionale per conferire alle autorità statali la discrezionalità di considerare un’ampia gamma di comportamenti come minacce alla sicurezza nazionale. In particolare, si esamini come la legislazione antiterrorismo e sulla criminalità informatica sia stata sfruttata per colpire i difensori dei diritti umani e altri attivisti pacifici;
  • Discutere del trattamento inumano e degradante riservato ai detenuti, in particolare per quanto riguarda le frequenti e credibili accuse di privazione del sonno, negazione di cure mediche, minacce verbali, percosse e aggressioni sessuali;
  • Invitare il Bahrein a consentire indagini indipendenti sulle accuse di tortura e maltrattamenti nel Paese, al fine di ritenere i responsabili perseguibili , come specificato nella Costituzione del Bahrein. Incoraggiare il governo del Bahrein a riprendere urgentemente il suo impegno con il sistema internazionale, fissando una nuova data per la visita del Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla tortura.
  • Invitare gli Emirati Arabi Uniti a desistere dall’uso dei cosiddetti programmi di “riabilitazione” che non solo sono incoerenti con le leggi internazionali sui diritti umani, ma contraddicono anche lo stesso codice penale degli Emirati Arabi Uniti, che richiede alle autorità di rilasciare i detenuti alla scadenza della pena.
  • Chiedere all’Arabia Saudita di interrompere l’uso della pena di morte per gli attivisti dei diritti umani e della democrazia.