PARTNERS IN CRIME: COME IL SISTEMA BANCARIO ITALIANO E L’INDUSTRIA DELLE ARMI CONTRIBUISCONO INSIEME A PERPETUARE IL CONFLITTO YEMENITA

Negli ultimi 15 anni la produzione di armi italiane da esportare è aumentata, fino a comporre l’1.4% del PIL italiano- contribuendo all’inasprimento dei conflitti armati nel mondo. Secondo i Trends in International Arms Transfers presentati dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), l’Italia rimane uno dei dieci maggiori Paesi esportatori di armi in Paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, e Bahrain. Tra il 2014 e il 2015, il commercio di armi italiane è incrementato del 200%, e nello specifico, le esportazioni in Arabia Saudita sono aumentate del 58% nel corso di un solo anno. Inoltre, le esportazione verso il Bahrain sono aumentate da 24 a 54 milioni di euro, un aumento del 125%. 

 

Contesto legislativo nazionale ed internazionale 

Negli ultimi anni, l’Italia ha fallito nell’adempiere alle norme nazionali ed internazionali relative alla vendita di armi nelle zone ad alto rischio, come per esempio il Golfo Arabo. La prima legge nazionale riguardante la restrizione di armi agli stati che le impiegano per violare le leggi internazionali e i diritti umani è stata emessa nel 1990. Secondo la Legge 185 (modificata nel 2003), l’esportazione di armi e di equipaggiamento militare deve essere autorizzata dal Ministro  della Difesa, il Ministro degli Affari Esteri e il Ministro delle Finanze. L’articolo 1 della suddetta legge stabilisce le condizioni per limitare e vietare le esportazioni di armi; nello specifico, nel paragrafo 6 sono elencati i divieti che l’industria bellica deve rispettare per commerciare queste armi. Inoltre, le condizioni includono i divieti di vendere articoli militari a paesi che hanno conflitti armati in corso; a paesi che seguono politiche che vanno contro l’Articolo 11 della Costituzione Italiana; a paesi che sono stati oggetto di embargo parziale o totale di forniture militari dall’ONU o dall’Unione Europea; a paesi i cui governi sono stati responsabili di violazioni delle Convenzioni Internazionali nell’area dei diritti umani, verificati e condannati da agenzie dell’ONU, dell’Unione Europea o del Consiglio d’Europa. 

In più, l’Italia è politicamente obbligata a conformarsi alla Posizione Comune 2008/944CFSP del Consiglio dell’Unione Europea che definisce le regole comuni per controllare l’esportazione di armi e tecnologia militare. I criteri della Posizione Comune, elencati nell’Art. 2, dichiarano chiaramente i requisiti per il rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale e l’esercizio di discrezione e vigilanza nell’emettere licenze per le forniture che potrebbero essere usate per repressioni interne. La lista include anche riferimenti alla salvaguardia della stabilità della regione e il divieto di emettere licenze che potrebbero ‘provocare o prolungare conflitti armati o aggravare tensioni esistenti o conflitti nel paese di destinazione finale’. 

Per di più, come stato facente parte del Trattato per la Vendita di Armi ONU del 2014, l’Italia è obbligata a rispettare gli articoli 6 e 7 della convenzione riguardante la non-autorizzazione di qualsiasi trasferimento nel caso si fosse a conoscenza di serie violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani. 

 

La vendita di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti

Nonostante l’impegno relativo al Trattato per la Vendita di Armi ONU e la Posizione Comune dell’Unione Europea 2008/944CFSP, l’Italia continua a fornire armamenti e munizioni militari all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti e al Bahrain. Nonostante l’articolo 11 della Costituzione Italiana dichiari che l’Italia non accetta la guerra come modalità di risoluzione dei conflitti, il suo coinvolgimento nel procurare armi alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti nella guerra dello Yemen viola i propri principi costituzionali. 

Dal Marzo 2015,  l’Arabia Saudita e la sua coalizione hanno iniziato una pesante campagna di bombardamento nella repubblica dello Yemen, causando la più grave crisi umanitaria del mondo, con la morte di più di 100.000 persone e migliaia di feriti. Il contributo dell’Italia è diventato evidente il 6 Ottobre del 2016 quando una famiglia di sei persone, inclusi quattro bambini, è stata uccisa nella zona nordoccidentale dello Yemen da una bomba prodotta da RWM Italia S.p.a, una filiale del produttore tedesco Rheinmetall AG. Inoltre, tra il 2015 e il 2018, una grande partita di bombe aeree della serie MK, come per esempio MK82 e MK84, prodotte a Domusnovas in Sardegna da RWM Italia S.p.a., è stata trasportata dall’Italia verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi. In aggiunta, nel 2016, il Governo Renzi ha autorizzato la fornitura di 19.675 bombe all’Arabia Saudita al prezzo di 411 milioni di euro. Nel 2018, 1.756 bombe del valore di 42 milioni di euro sono state spedite in Arabia Saudita. Sono stati trovati consistenti residui di queste bombe in diversi siti di macerie sparsi per tutto lo Yemen. 

Queste transazioni sono state finanziate dalle banche Italiane, le cui attività hanno avuto un ruolo fondamentale nel procurare la vendita di armi. Di solito, le banche finanziano direttamente la produzione e la vendita di armi. Banca Valsabbina per esempio, un piccolo istituto di credito nella provincia di Brescia, non ha al momento una politica riguardo i finanziamenti delle compagnie coinvolte nel commercio di armi. Ciò la rende interessante agli occhi dei maggiori importatori di armi esteri, inclusi gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. È da notare ,quindi, che nel 2015 un ingente aumento del 763.8% nelle transazioni dalla banca è stato dovuto alle armi esportate dall’Italia e prodotte da RWM Italia lo stesso anno. 

Non stupisce che nel report del Ministro dell’Economia e delle Finanze (MEF) consegnato al SIPRI nel 2018 una significante transazione di EUR 25.016.328 è dichiarata negli “importi segnalati”. Questo importo è riconducibile alla fornitura di 19.675 bombe di classe MK 80 prodotte da RWM Italia per l’Arabia Saudita. 

Nonostante le innumerevoli risoluzioni del Parlamento Europeo (Risoluzione 2018/2853/RSP e la Risoluzione 2008/944/CFSP) per imporre l’embargo sulle armi militari all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi, l’ultimo report consegnato dal governo italiano al SIPRI non include nessuna sospensione o revoca sull’esportazione di armi. Secondo il SIPRI, l’Arabia Saudita rimane il terzo maggiore partner commerciale dell’Italia, rappresentando il 7.2% delle esportazioni totale di armi. Lo scorso Giugno 2019, il Parlamento Italiano ha concordato nell’astenersi dal vendere armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi come risultato di una campagna promossa dal Movimento dei Focolari Italiani, Oxfam Italian, Amnesty International e Rete della Pace e Rete Disarmo. Dopo un meeting parlamentare, il vice premier del tempo Luigi Di Maio, ha commentato la vendita di armi all’estero suggerendo che “è necessario bloccare completamente qualsiasi contratto in essere o nuovo contratto che veda l’esportazione di bombe d’aria o missili o strutture di armamento che possano andare verso l’Arabia Saudita o gli Emirati Arabi per il conflitto nello Yemen”. In ogni caso, prima che il divieto venisse messo in atto circa 1000 bombe valutate EUR 25 milioni sono state spedite in Arabia Saudita da RWM Italia. Inoltre, la mozione Parlamentare faceva riferimento esclusivamente alle bombe aeree e ai missili, escludendo le forniture di pistole. 

 

Fonte: http://documenti.camera.it/_dati/leg18/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/067/003v01_RS/INTERO_COM.pdf

Vendita di armi dall’italia verso il Bahrein

L’Italia, oltre che continuare a fornire armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi, continua a fornire armi ad un altro stato partecipe della guerra- il Bahrain. Come membro della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, il Bahrain continua a violare il diritto umanitario internazionale e le leggi sui diritti umani, contribuendo così ad attuare crimini di guerra contro civili innocenti coinvolti nel conflitto Yemenita. 

Nel 2011, Amnesty International ha incluso l’Italia nella lista dei nove paesi i cui governi autorizzano la vendita di armi, ammonizioni e altri equipaggiamenti al Bahrain dal 2005. Negli anni 2006 e 2007, le armi italiane esportate e i sistemi armamentari più grandi di 12.7mm, ed un equipaggiamento speciale è stato valutato EUR 208.468.5. Nel 2008, il governo bahreinita ha importato armi più grandi di 12.7mm per un valore maggiore di 40.5 milioni di euro. Successivamente, nel 2010 l’Italia ha venduto lo stesso tipo di equipaggiamento militare al Bahrain per un prezzo totale di EUR 69 milioni, paragonato ai soli 167.897 euro del 2007. 

Fonte: https://sites.tufts.edu/reinventingpeace/2018/02/28/who-is-arming-the-yemen-war-and-is-anyone-planning-to-stop/

Per di più, secondo la ricerca completata dal Lighthouse Reports, le parti di ricambio del fucile  italiano Benelli sono state usate contro i civili durante le proteste pacifiche pro-democrazia. Questo contravviene direttamente la legislazione italiana e gli accordi dell’UE che negano le licenze di vendita per le armi usate dagli stati per repressioni interne contro i propri cittadini. 

Nel 2015, un accordo è stato firmato dal Ministro della Difesa Roberta Pinotti, e la Controparte Bahreinita Yusuf bin Ahmed Al Jalahma, con l’obiettivo di aumentare le difese militari di entrambi i paesi. In seguito a questo accordo, il valore delle armi esportate dall’Italia al Bahrain è aumentato da 24 milioni di euro a 54 milioni di euro. 

Nello stesso anno, l’azienda italiana impiegata nel settore bellico, Selex ES (Finmeccanica) ha firmato un accordo di 50 milioni di euro con la Forza Navale del Bahrain. L’accordo, della durata di cinque anni, includeva anche workshop di formazione per l’uso dei prodotti venduti. L’implicazione Italiana nelle attività militari bahreinite è diventata evidente con la partecipazione di Selex ES al Bahrain International Airshow, che è in linea con l’accordo che specifica il coinvolgimento dell’aviazione civile e militare, cosi da assicurare la futura fornitura di sistemi di sorveglianza. Più recentemente, all’inizio del 2020, il Bahrain ha firmato sette accordi con le maggiori compagnie italiane per 330 milioni di euro. Tra queste vi è anche LEONARDO (ex Finmeccanica), il più grande produttore di armi, classificato all’ottavo posto nella lista delle dieci maggiori compagnie produttrici di armi. Il Primo Ministro Giuseppe Conte ha espresso il suo disaccordo riguardo alla vendita di armi alla coalizione Araba nello Yemen, affermando che “il Governo Italiano è contro la vendita di armi all’Arabia Saudita, a causa del ruolo di questi nella guerra dello Yemen […]”. 

In conclusione, nonostante le dichiarazioni dei funzionari, l’impegno internazionale e le disposizioni costituzionali, l’Italia continua a vendere armi ai Paesi più attivi nella guerra dello Yemen. Il settore bancario ha facilitato il finanziamento dei produttori di armi italiani, aiutato dalla negligente politica bancaria che non proibisce la vendita di armi a Paesi colpevoli di violare i diritti umani e la legge umanitaria internazionale. L’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi e il Bahrain sono colpevoli di utilizzare le armi italiane contro civili innocenti. Tutto ciò potrebbe cessare solo se l’Italia mettesse in atto le proprie leggi, le convenzioni internazionali e le linee di politica approvate a livello Europeo – incluso il sistema di controllo sulle banche per assicurare che nessuna industria o stato possa usare questo via come escamotage per comprare armi prodotte in Italia.