COVID-19: Come la pandemia è stata usata dai governi del Consiglio di Cooperaione del Golfo per raddoppiare le violazioni dei diritti umani

Il COVID-19 ha contagiato milioni di persone in tutto il mondo e ha costretto i governi ad adottare misure straordinarie per combattere la sua diffusione tra la popolazione. Tuttavia, queste azioni comportano il rischio di violare le norme internazionali sui diritti umani, anche se il COVID-19 rappresenta una minaccia significativa per la salute pubblica.

Dichiarare lo stato di emergenza può essere un metodo usato dai governi per rispondere prontamente ad una crisi immediata. In questi casi, le costituzioni statali consentono al potere esecutivo di adottare misure straordinarie in situazioni eccezionali molto più rapidamente, come nell’attuale crisi sanitaria, senza dover passare attraverso tutte le fasi che compongono il normale processo decisionale. Sebbene dichiarare lo stato di emergenza non sia di per sé illegale, è evidente che un certo numero di governi in tutto il mondo sta usando questo strumento costituzionale per limitare severamente le libertà fondamentali, come la libertà di informazione, di espressione, di riunione e di associazione. In realtà, molte misure che sono state imposte con il pretesto di combattere il COVID-19, sono di fatto usate come pretesto per opprimere l’opposizione del governo.

Inoltre, c’è stato un aumento dell’uso della tecnologia di sorveglianza come mezzo subdolo per tracciare la diffusione del virus. Da un lato, questa pratica ha il vantaggio, per coloro che sono entrati in contatto con una persona infetta, di venire immediatamente informate in modo che possano essere sottoposte al test e rimangano in isolamento. Tuttavia, tale pratica può anche violare la privacy dei cittadini, in quanto le autorità sono in grado di monitorare determinati individui e i loro precisi movimenti. Queste misure possono far sì che il governo sappia quando un determinato cittadino si trovi in un determinato luogo e anche cosa potrebbe pensare di particolari questioni. In questo modo, questa tecnologia può essere estremamente pericolosa per coloro che vivono in Paesi in cui il governo non accetta idee e modi di pensare anticonformisti. Pertanto, non solo questa crisi potrebbe diventare estremamente pericolosa per la salute pubblica e l’economia, ma potrebbe anche portare a severe e permanenti restrizioni nella vita quotidiana dei cittadini, come imposto dai loro governi.

Secondo il rapporto del Worldometer, fino al 12 maggio 2020, sono stati segnalati 41.014 casi COVID-19 in Arabia Saudita, 23.623 in Qatar, 5.236 in Bahrein, 9.286 in Kuwait, 3.721 in Oman e 19.661 negli Emirati Arabi Uniti. Come il resto del mondo, gli Stati del Golfo stanno affrontando una “brusca riduzione delle attività commerciali” e le conseguenti difficoltà economiche. Inoltre, l’improvviso crollo dei prezzi del petrolio ha colpito questi Paesi in modo particolarmente duro, dato che il settore del gas e del petrolio rappresentano una quota maggioritaria significativa delle loro economie.

Uno Stato di sorveglianza

Gli Stati del Golfo stanno usando il virus come motivo per rafforzare i loro meccanismi di sorveglianza statale sui cittadini. Non è una novità; dal movimento di protesta della Primavera Araba del 2011, le autorità hanno usato le riforme per legittimare un nuovo deciso passaggio all’autoritarismo. Quest’ultimo si è manifestato in una crescente repressione della società civile e nell’arresto arbitrario di difensori dei diritti umani, avvocati, leader religiosi e figure dell’opposizione. Questi stessi Stati del Golfo stanno usando l’attuale crisi sanitaria come copertura per introdurre un’efficiente tecnologia di sorveglianza per rintracciare i cittadini nella loro vita quotidiana, limitare ulteriormente la società in generale, limitare le libertà politiche e civili ed estendere il loro controllo sulla sfera pubblica.

Gli Emirati Arabi Uniti hanno introdotto una legge temporanea che consente alle autorità di accedere alle chiamate e alle conversazioni WhatsApp dei singoli, nonché ai loro account Skype e Google. Inoltre, le persone residenti negli Emirati Arabi Uniti devono compilare un modulo online che spiega un motivo valido per lo spostamento quando lasciano le loro case, in modo da mostrare alle autorità se richiesto per strada. Questa misura comporta un grave rischio in quanto fornisce alle autorità maggiori informazioni che potrebbero poi essere utilizzate contro i cittadini. Le autorità hanno, ora, accesso alle identificazioni biometriche collegate al telefono dell’individuo e persino alla targa dell’auto. Questo permette al governo di monitorare i movimenti di un individuo in modo più scrupoloso; le telecamere a circuito chiuso sono state utilizzate in combinazione con la nuova tecnologia di tracciamento per identificare le persone che violano le misure di distanziamento sociale imposte e che portano direttamente alle multe. Inoltre, la tecnologia di sorveglianza viene impiegata anche per rintracciare le persone che presumibilmente diffondono “false informazioni” sul COVID-19. Questa nuova misura è stata introdotta in aprile e viene utilizzata per punire arbitrariamente gli individui che possono di conseguenza essere incarcerati fino ad un anno se le autorità considerano fuorvianti le loro dichiarazioni pubbliche sul virus. Di conseguenza, tutto questo ha anche un effetto restrittivo sulla libertà di opinione, di espressione e d’informazione, poiché spetta al governo degli Emirati Arabi Uniti decidere, a sua discrezione, cosa costituisce falsa informazione.

Il controllo del movimento è ancora più esteso in Bahrain. Le persone sono costrette a indossare un “cartellino elettronico” collegato al loro telefono, dal quale è vietato allontanarsi oltre i quindici metri. Ancora più grave è la situazione in Arabia Saudita, dove in Aprile una donna è stata arrestata dopo aver pubblicato un video di se stessa alla guida nonostante il coprifuoco. Sono state introdotte pene detentive molto più restrittive per aver infranto le misure di allontanamento sociale, anche per alcuni reati di cui il presunto colpevole potrebbe affrontare fino a vent’anni di carcere. Con le misure attualmente in fase di introduzione negli Stati del Golfo per “combattere il COVID-19”, la linea di demarcazione tra criminale e vittima è estremamente sottile. E’ anche dubbio che queste nuove misure introdotte saranno allentate dopo la fine della pandemia.

Effetti del COVID-19 sulla politica di immigrazione

I governi stanno anche rispondendo alle conseguenze della pandemia COVID-19 introducendo politiche di immigrazione più proibitive. Ad esempio, l’Arabia Saudita ha impedito a migliaia di lavoratori privi di documenti di tornare nel loro Paese d’origine, l’Etiopia, con il pretesto che questi lavoratori potrebbero infettare i cittadini sauditi. Tuttavia, la maggior parte di queste persone doveva ancora effettuare il test per verificare la presenza del virus. Il 14 aprile il Ministro della Sanità Etiope, Lia Tadesse, ha annunciato che 2.870 etiopi sono già stati deportati e che ne sono attesi almeno altri 3.000. Inoltre, anche gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait hanno espulso migliaia di lavoratori migranti nel loro Paese d’origine, il che, a sua volta, ha causato una moltitudine di problemi logistici che hanno ulteriormente aggravato la crisi da COVID-19.

Già prima della pandemia, le organizzazioni per i diritti umani come ADHRB e Amnesty International stavano monitorando da vicino la situazione dei lavoratori stranieri negli Stati del Golfo e avevano espresso la loro preoccupazione per le loro condizioni di vita. A causa del COVID-19, sono state ulteriormente evidenziate le condizioni non igieniche dei campi di lavoro sovraffollati; le principali denunce che sono state espresse riguardano la mancanza di accesso all’acqua corrente potabile e l’accesso limitato alle cure mediche di base. Inoltre, le misure di allontanamento sociale sono fuori discussione a causa delle condizioni già anguste, poiché le celle minuscole e gli spazi condivisi consentono una certa privacy.

Inoltre, la quarantena forzata rende i migranti a basso reddito interamente dipendenti da enti di beneficenza per le loro necessità di base. Già prima della crisi mancavano informazioni sanitarie e finanziarie trasparenti per i lavoratori migranti in Paesi come gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar. La loro precaria posizione socio-economica è ulteriormente messa a dura prova dallo scoppio del COVID-19, poiché i lavoratori migranti sono spesso vittime di stipendi trattenuti, pagamenti bassi e mancanza di assicurazione; inoltre risultano ancora più esposti a tali abusi e rischi per la salute nel bel mezzo di una pandemia mondiale.

Condizioni carcerarie

Sebbene l’accesso a un’adeguata assistenza sanitaria sia un diritto umano fondamentale, molti individui, compresi i prigionieri politici e i difensori dei diritti umani detenuti, sono attualmente detenuti in carceri dove sono esposti a condizioni malsane e insalubri e rischiano il contagio del virus.

L’accesso ad un’adeguata assistenza sanitaria durante la detenzione è considerato dall’ONU un servizio di base che lo Stato dovrebbe fornire.  Il governo del Bahrein non ha finora adottato alcuna misura per evitare che i detenuti si ammalino, attuando misure di distanziamento sociale o fornendo servizi sanitari di base. Questo avviene nonostante le autorità bahreinite abbiano cercato di diffondere informazioni false alla comunità internazionale affermando che le prigioni bahreinite hanno introdotto misure specifiche per impedire al COVID-19 di entrare nelle strutture. In realtà, gli agenti di polizia, i cuochi e il restante personale carcerario non indossano maschere o guanti e non seguono le altre strategie di prevenzione. Ai detenuti malati viene sistematicamente negato l’accesso alle cure mediche. Sebbene il governo abbia rilasciato una certa quantità selezionata di detenuti a causa della crisi sanitaria del COVID-19, la maggior parte di questi detenuti sarebbe stata comunque rilasciata quest’anno.

Nel frattempo, importanti difensori dei diritti umani rimangono in carcere. Nabeel Rajab rimane ancora incarcerato nella prigione di Jau, dove è a grave rischio di contrarre il COVID-19 a causa del suo stato di salute in declino. Anche il leader dell’opposizione Hussan Mushaima rimane sotto chiave con la vecchiaia che lo espone a un rischio estremo di contrarre la malattia. Le Nazioni Unite (ONU) hanno richiamato l’attenzione sul rischio di contagio nelle carceri e hanno invitato gli Stati ad adottare le misure necessarie per prevenire la diffusione del virus, in particolare rilasciando i prigionieri politici. L’ONU ha anche sottolineato il fatto che gli Stati abbiano il dovere di rispettare i diritti umani fondamentali e di non abusare dell’emergenza sanitaria per i propri scopi. Human Rights Watch (HRW) ha pubblicato un articolo che evidenzia il rilascio di un numero limitato di prigionieri politici in Bahrein, ma ha sottolineato che tali rilasci siano troppo pochi rispetto al numero sempre crescente di nuovi detenuti politici. Anche le ONG di tutto il mondo, tra cui ADHRB e Amnesty International, hanno chiesto l’immediato rilascio dei prigionieri politici.

La Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali è stata ratificata dal Bahrein, rendendo i suoi obblighi giuridicamente vincolanti per lo Stato nazionale. Secondo la Convenzione, ognuno ha il diritto al “più alto standard raggiungibile di salute fisica e mentale”. Pertanto, tutti i governi che hanno ratificato tale Convenzione sono obbligati a prendere misure efficaci verso “la prevenzione, il trattamento e il controllo delle malattie epidemiche, endemiche, professionali e di altro tipo”. Il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali, che controlla il rispetto della convenzione da parte degli stati, ha analogamente notato che “il diritto alla salute è strettamente connesso e dipende dalla realizzazione degli altri diritti umani” che sono attualmente oggetto di abusi da parte dei governi degli Stati del Golfo per sopprimere e controllare la società civile. Questi governi devono adottare misure chiare e definite per proteggere i loro cittadini, i lavoratori migranti e i prigionieri politici. Sebbene il COVID-19 abbia provocato una crisi senza precedenti che ha messo sotto pressione i governi nazionali, è ancora più importante ora più che mai che i diritti umani come il diritto alla privacy, l’accesso alle cure mediche e il diritto a vivere e lavorare con dignità siano protetti e difesi.