Giustizia Razziale in America: Non riesco a Respirare

Molto similmente allo slogan della Primavera Araba-“pane, libertà, dignità”– “Non riesco a Respirare” esprime lo stesso significato di disperazione. L’America è, giustamente, il focus di una rabbia intensa, di frustrazione e delusione per le persone di tutto il mondo. Gli Ufficiali delle Nazioni Unite si sono espressi circa l’omicidio di George Floyd. 

Come la morte di Mohamed Bouazizi, il Tunisino che si è dato fuoco come atto di protesta contro la corruzione e i maltrattamenti della polizia (un incidente che ha funto da miccia per l’esplosione della Primavera Araba nel Medio Oriente e Nord Africa), la morte di George Floyd ha dato il via alla “Primavera Americana”. 

L’eguaglianza secondo la legge è la pietra miliare dei diritti umani. La schedatura da parte delle forze di polizia e delle agenzie governative mina le premesse di trattamento equo. Investigare, sorvegliare o prendere di mira in altro modo determinati individui solo sulla base della loro razza, etnia, religione origine nazionale è una chiara forma di discriminazione e va contro innumerevoli leggi nazionali ed internazionali. In primo luogo, la schedatura può incrinare il rapporto tra le forze dell’ordine e i membri delle comunità presi di mira, rendendo questi ultimi meno proni a fidarsi e rivolgersi alle forze dell’ordine, e quindi rendendo tutta la comunità meno sicura. Affidarsi alle schedature, inoltre, non incentiva le forze dell’ordine ad impegnarsi in metodi investigativi efficaci. 

Infine, e cosa più problematica, la schedatura risulta in ulteriori discriminazioni. Usando la schedatura razziale, le forze dell’ordine legittimano la marginalizzazione delle minoranze razziali, etniche e religiose prese di mira e legittimizza la diffidenza nei confronti di queste comunità. Le politiche e le pratiche che sembrano essere neutrali, restringono in maniera spropositata le libertà e i diritti delle persone di colore e stabiliscono la natura discriminatoria nella coscienza pubblica e tra i politici in una battaglia tutta in salita. La schedatura razziale da parte delle autorità e la relativa criminalizzazione delle persone nere forniscono un esempio del genere. 

All’inizio del 2011 nella Piazza Tahir in Egitto, i manifestanti hanno espresso il loro sconcerto per la brutalità della polizia, il nepotismo, il capitalismo, la corruzione, l’arroganza di coloro ai vertici, una politica corrotta e la loro collettiva marginalizzazione. In Egitto, i manifestanti che hanno percorso Piazza Tahir sono stati ispirati in parte dalla memoria di Khaled Said-un ragazzo picchiato a morte dalla polizia ad Alessandria nel Giugno 2010. Mentre il più ovvio parallelo da tracciare tra il Medio Oriente e le proteste svoltesi negli Stati Uniti è quello delle morti di Floyd e Said. I paralleli sono, infatti, più profondi e intensi. 

Come Philonise Floyd, fratello di George Floyd, ha detto durante un’udienza al Congresso “George non poteva diventare ‘un altro nome sulla lista’. George ha chiesto aiuto ed è stato ignorato. Per favore, ascoltate l’appello che vi sto facendo ora, gli appelli della nostra famiglia e gli appelli che risuonano nelle strade di tutto il mondo. Le persone che marciano per le strade vi stanno dicendo che quando è troppo è troppo”. 

Al momento, nel mondo c’è un crescente sentimento di oltraggio da tutti i gruppi di persone riguardanti le istituzioni politiche e le strutture sociali prevalenti che continuano a privare le persone di colore e le minoranze della loro dignità. Questi gruppi sono stati lasciati senza potere per troppo tempo e, proprio come la Primavera Araba del 2011, fino a quando un inaspettato sviluppo ha portato le persone in massa per le strade a chiedere un cambiamento, unico posto dove le loro istanze sono state ascoltate. 

Nelle passate settimane, ritrovatosi a dover fronteggiare massicce proteste contro il razzismo, il Presidente Donald Trump ha risposto come un autocrate. Trump ha ripetutamente incoraggiato la violenza contro i protestanti e ha minacciato di invocare l’Insurrection Act per dispiegare le truppe sul suolo statunitense. Il capo dello Stato Maggiore congiunto–il più alto ufficiale militare Americano-è stato di fianco a Trump mentre questi parlava dello schieramento delle truppe e ha poi percorso le strade di Washington DC nella sua tenuta da combattimento per un sopralluogo come un generale di campo. Il segretario Statunitense della difesa ha detto ai governatori di “dominare il campo di battaglia”-con le strade delle città Americane intese come “campo di battaglia”. 

L’ipocrisia è accecante: se questi eventi si fossero tenuti in qualsiasi altro Paese, un normale governo Americano avrebbe espresso il suo disappunto in dichiarazioni ufficiali e telefonate di alto livello e si sarebbe coordinato con i Paesi alleati e le organizzazioni internazionali per fare pressione al governo incriminato. Dalla repressione nell’Unione Sovietica alle brutali repressioni in Medio Oriente durante la Primavera Araba, gli Stati Uniti hanno aiutato a guidare i responsi internazionali di principio nei Paesi che opprimono violentemente i loro cittadini. 

Come Rev. Al Sharpton ha detto durante il memoriale di George Floyd: “Proprio come in un’era abbiamo dovuto combattere la schiavitù, un’altra era Jim Crow, in un’altra ancora abbiamo avuto a che fare con i diritti di voto, questa è l’era in cui dobbiamo combattere per la polizia e la giustizia criminale… dobbiamo tornare a Washington e alzarci: Neri, bianchi, Sudamericani, Arabi, sulle orme di Lincoln, e dire loro: è arrivato il momento di mettere fine a tutto questo”.