Ritorsioni contro i difensori dei diritti umani in Arabia Saudita 

Il prezzo da pagare per la partecipazione al Consiglio dei Diritti Umani è esorbitante 

I difensori dei diritti umani hanno subito gravi rappresaglie a causa del loro attivismo e coinvolgimento all’interno delle organizzazioni per i diritti umani, come ad esempio le Nazioni Unite (UN), il Consiglio dei Diritti Umani (HRC) tra gli altri. ADHRB ha monitorato e continua a monitorare la situazione in Arabia Saudita e nel Golfo Arabo. 

Dal maggio 2018 l’Arabia Saudita ha imposto diversi divieti di viaggio nel Paese e ha implementato le detenzioni in isolamento, attuando anche altre forme di rappresaglia per impedire ai difensori dei diritti umani di prendere parte ad eventi internazionali e altri gruppi sui diritti umani, come ad esempio le Nazioni Unite. 

Il lavoro che ADHRB ha svolto riguardo tali ritorsioni in Arabia Saudita si è focalizzato soprattutto sulle donne attiviste per i diritti umani e sulle sistematiche rappresaglie che subiscono proprio a causa di tale attivismo. La condizione dei diritti delle donne in Arabia Saudita è sempre stata precaria a causa del radicato patriarcato su cui si basa la società stessa. Le donne, infatti, sono considerate di di valore inferiore a causa del loro genere e ciò influenza il modo in cui la società saudita le percepisce, soprattutto quando fanno sentire la loro voce su temi rilevanti e pressanti.  Tali temi includono le restrizioni alla libertà che sono imposte alle donne, ma anche l’impossibilità di esprimersi, avere le proprie idee e potersi spostare liberamente. Un chiaro esempio di tutto questo è dato dal sistema di custodia attuato dal governo saudita. Secondo tale sistema, le donne devono chiedere il permesso del loro tutore maschile per svolgere anche le attività più basilari, come ad esempio viaggiare, cercare lavoro o avere accesso alle cure sanitarie. Un altro esempio importante e che evidenzia l’atteggiamento di rappresaglia da parte del governo è la repressione nel maggio 2018 ai danni degli attivisti da parte delle autorità saudite, le quali hanno mirato a reprimere coloro che hanno protestato pacificamente e coraggiosamente per il diritto delle donne a guidare, per l’eliminazione del sistema di custodia e per avere giustizia ed equità nel trattamento dei diversi generi nella società saudita. 

Dal maggio 2018, molte donne attiviste per i diritti umani sono state arrestate, tra cui Loujain al-Hathloul, Samar Badawi e Nassima al-Sada; sono tutte ancora detenute e a tutte è stato revocato il diritto di viaggiare. Amnesty International ha riportato spesso episodi di tortura di cui queste donne sono state vittime e tra questi ritroviamo elettroshock, fustigazioni e abusi sessuali. Inoltre, non è stato possibile ottenere un ricorso proprio perché, alla maggior parte di loro, è stato negato il diritto ad un processo. L’unico “crimine” commesso da queste donne, e per cui hanno subito ritorsioni, è stato il fatto di protestare per ottenere quei diritti fondamentali di cui le donne occidentali godono ampiamente. Il caso di Samar Badawi è particolarmente emblematico quando si parla di tali rappresaglie. Samar, che lotta per i diritti delle donne e per l’abolizione del sistema di custodia dal 2010, ha visto negato il suo diritto a viaggiare ed è stata arrestata a causa del suo coinvolgimento nel Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.  Samar era l’ultima donna attivista a poter viaggiare dall’Arabia Saudita e a partecipare alle sessioni del Consiglio dei Diritti Umani. 

Il 10 ottobre 2018, diversi rappresentanti della Procedura Speciale hanno fatto un appello urgente e hanno rinnovato le loro preoccupazioni per la detenzione arbitraria e il trattamento degradante delle attiviste Samar Badawi e Loujain Al-Hathlou, che sono coinvolte nella Commissione per l’eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW). In diverse occasioni, nel periodo tra maggio e novembre 2018, il comitato sulle ritorsioni del CEDAW ha mandato una lettera di comunicazione al Regno Saudita che ha risposto fornendo delle informazioni su Al-Hathloul. Il 5 aprile 2019, il governo dell’Arabia Saudita ha sottoscritto un’ulteriore informativa, dichiarando che Al-Hathloul si era resa responsabile di reati contro la sicurezza nazionale e di crimini informatici, ed è stata detenuta all’interno del Direttorato Generale di Indagine (Al-Mabahith) con il diritto a cure mediche, rappresentazione legale, comunicazioni e visite. Il governo ha dichiarato che l’indagine sul suo caso è stata condotta e conclusa. Il 9 Aprile 2019, l’assistente del Segretario Generale si è occupato delle accuse di ritorsione scrivendo direttamente al governo.

Un altro caso di ritorsione riguarda l’Associazione Saudita per i diritti Civili e Politici (ACPRA). Creata nel 2009 per monitorare il deterioramento dei diritti umani e per creare delle riforme costituzionali in Arabia Saudita, l’ACPRA è stata bandita dopo 4 anni dalla sua creazione. Già nel 2016, tutti i suoi 11 membri sono stati processati a causa del loro attivismo e della loro cooperazione con le Nazioni Unite. I membri dell’ACPRA hanno ricevuto delle condanne tra i 5 e i 15 anni di carcere e gli è stato impedito di viaggiare dalla Corte Penale Specializzata (SCC). Tra i membri dell’ACPRA c’erano Essa Al–Hamid, Dr Abdulrahman Al-Hamid, e Dr Abdullah Al-Hamid, che sono venuti a mancare il 24 aprile 2020, dopo alcune complicazioni dovute a negligenze del personale medico durante il periodo trascorso in carcere. 

Un’altra vittima del suo stesso attivismo è  Waleed Abu al-Khair, avvocato e prigioniero di coscienza che è stato condannato a 15 anni di prigione, all’impossibilità di viaggiare per altri 15 anni, ad una multa che ammonta a circa  53,000 di dollari ed a 1000 frustate per il suo attivismo pacifico a favore dei diritti umani. Waleed è stato condannato per “aver cercato di rovesciare lo Stato e l’autorità del Re”; “aver criticato e insultato la magistratura”; “aver collaborato con organizzazioni internazionali contro il Regno”; “aver creato e supervisionato un’organizzazione che non aveva licenza e aver contribuito alla fondazione di un’altra”; ed infine “ad aver preparato e gestito informazioni che potessero influire negativamente sulla sicurezza pubblica”. 

 Nel 2018 è stata effettuata la Universal Periodic Review of Saudi Arabia. In quel documento ADHRB ha evidenziato come i difensori dei diritti umani vengano ancora accusati di “terrorismo” in Arabia Saudita. La maggior parte di loro è stata portata di fronte ad una corte per il loro attivismo pacifico e condannata grazie alle norme anti-terrorismo in seguito a dei processi fortemente iniqui. ADHRB e altre organizzazioni hanno esortato il Regno saudita ad abolire ogni legge e politica che limiti la libertà di attività, di cessare ogni atto di ritorsione contro attivisti non violenti con il pretesto dell’anti-terrorismo; di rilasciare subito e incondizionatamente tutti i difensori dei diritti umani e i leader civili che sono stati arrestati per aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione e di studiare i loro casi affinché non si verifichino simili violazioni in futuro. 

Non molto tempo fa, nel giugno del 2019, più di 30 ONG hanno firmato una lettera congiunta diretta a 48 missioni e alla missione dell’Unione Europea a Ginevra riguardante gli abusi commessi contro i diritti umani in Arabia Saudita.  Questa lettera ha incitato il governo saudita a rilasciare le attiviste per i diritti umani, a lasciar cadere ogni accusa contro di loro e a rimuovere i divieti per i viaggi imposti alle loro famiglie. 

I difensori dei diritti umani hanno subito e continueranno a subire innumerevoli forme di rappresaglia a causa del loro attivismo in Arabia Saudita se la comunità internazionale non interviene. È inaccettabile che un Paese, che è stato membro del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, continui a ostacolare ogni tentativo di avanzamento nella protezione dei diritti umani. La comunità internazionale ha il dovere morale di fare da cassa di risonanza per le voci di coloro che in Arabia Saudita non possono esprimersi ed, in particolare, per i membri della società civile che vorrebbero essere coinvolti nel Consiglio dei Diritti Umani, ma a cui è tristemente proibito. I singoli Paesi dovrebbero fare pressione sul governo saudita per rilasciare senza immediatamente e senza condizioni tutti i difensori dei diritti umani, per permettere ai membri indipendenti della società civile di portare avanti il loro lavoro nella difesa dei diritti umani e assicurare, senza alcuna riserva, che tutti gli attivisti in Arabia Saudita possano agire senza paura di ritorsioni.