Bahrain e Sapienza: collaborazione accademica o trovata pubblicitaria?

Lunedì 5 novembre 2018, nell’Aula Magna del Palazzo del Rettorato di uno degli Atenei più importanti d’Italia ‘La Sapienza’, si è svolta la cerimonia di inaugurazione di una cattedra dal nome “King Hamad Chair for Inter-religious dialogue and peaceful co-existence”. Una cattedra che, secondo il sito ufficiale della Sapienza ‘ha lo scopo di coinvolgere le nuove generazioni in una politica di conoscenza e di relazione fra culture e religioni, come antidoto a estremismi e radicalismi’. Il sito della Sapienza continua citando direttamente Sua Maestà il Re del Bahrain, il quale ha affermato che ‘l’ignoranza è nemica della pace e pertanto è nostro dovere imparare, condividere e vivere insieme’ e ancora ‘nel regno del Bahrain per secoli abbiamo vissuto fianco a fianco con vicini di tutte le fedi e culture, e siamo felici, oggi, di vivere in una società multiculturale e religiosamente plurale. Noi riconosciamo questa diversità come un fatto naturale e normale nella vita del nostro paese’. Leggendo tali dichiarazioni non solo sembrerebbe che il Bahrain sia un luogo in cui la coesistenza tra fedi diverse è rispettata e celebrata, ma che il Regno stesso sia un esempio di tolleranza religiosa a livello internazionale. La realtà all’interno del Paese è, tuttavia, molto diversa. 

Nel Regno, circa il 70% della popolazione è musulmana, mentre il restante 30% appartiene a diverse religioni tra cui cristianesimo, ebraismo, e sikh. Nonostante il paese sia a maggioranza sciita, è governato da una famiglia reale sunnita che utilizza i propri poteri istituzionali per attaccare, segregare e umiliare con violenza  la comunità sciita della popolazione.  Tali discriminazioni si manifestano in vario modo, andando a toccare diversi aspetti della vita dei cittadini: dall’esclusione dalle forze dell’ordine all’oppressione politica.  In particolare, tra le più severe forme di discriminazione sistemica vi è l’impossibilità di  esprimere il proprio diritto alla libertà di culto. In seguito ai movimenti filo-democratici del 2011, tale repressione religiosa si è intensificata, portando alla distruzione di luoghi di culto e moschee, repressione e cancellazione forzata di eventi religiosi e la presa di mira di clerici e figure religiose prominenti per la popolazione sciita, per ordine diretto del governo e della famiglia reale. Dopo le dimostrazioni del 2011, la Commissione Indipendente d’Inchiesta del Bahrein ha investigato sulla demolizione di circa trenta luoghi di culto sciiti, tra cui Abou Thir Al Ghiffari, una moschea risalente trecento anni addietro. 

Da Lunedì 5 novembre 2018, giorno in cui  la collaborazione tra il Regno del Bahrein e la Sapienza è stata ufficializzata, le discriminazioni verso la comunità sciita non sono terminate. Tra i casi più significativi vi è quello dello sceicco Abdulmohsen Mulla Atiya al-Jamri, un importante esponente religioso sciita, convocato per la prima volta per un interrogatorio il 3 ottobre 2019 per le sue critiche ad Abdulla Bin Omar (importante tradizionista dell’Islam) e in seguito arrestato sulla King Fahd Causeway al suo ritorno dalle visite ai santuari sacri. Egli fu accusato di aver insultato Muawiya Bin Abi Sufyan e Banu Umayya (tra i primi califfi) avendo dichiarato, durante un sermone del 9 gennaio 2020, che : “i libri di storia sono pieni di figure che non hanno valore per l’umanità e la morale come Muawiyah e Banu Umayya”. Il 27 febbraio è stato condannato a un anno di carcere con le suddette accuse.

Un altro caso emblematico è quello dello sceicco Isa al-Qaffas, che venne condannato a 10 anni di prigione nel 2016. Nel luglio 2019, ha tenuto un Majlis (un’assemblea di tipo politico, sociale o religioso) per fare le condoglianze a Ahmed al-Malali e Ali al-Arab, due uomini giustiziati quel mese. Di conseguenza, è stato picchiato, insultato e messo in isolamento dalle forze dell’ordine. Il 5 dicembre 2019 è stato accusato di aver insultato il Re e incitato all’odio verso il regime a causa del Majlis che aveva tenuto.

E’ inoltre paradigmatica la recente decisione presa dal Dipartimento Indipendente del Ministero della Giustizia e Affari Islamici del Bahrein (il Jafari Waqf) che ha vietato la trasmissione di recitazioni del Corano, sermoni e discorsi attraverso altoparlanti nelle Husayniyya e nelle Matam (luoghi di culto sciiti) durante il mese sacro del Ramadan. Pertanto, i chierici dovettero trasmettere i sermoni online e predicare in solitudine nei suddetti siti. Tali decisioni furono motivate dall’osservanza delle le linee guida sulla salute e la sicurezza contro la diffusione del Covid-19. Tuttavia, le basi effettive di tale decisione risultano dubbie dal momento che questa misura è stata adottata esclusivamente per le Husaynniyya e Matam. 

Inoltre, non si può ignorare che che più di cento insegnanti e professori vennero arrestati, sospesi o licenziati a seguito delle manifestazioni filo-democratiche del 2011, la maggior parte dei quali sciiti. In diverse zone sciite del paese, i docenti vennero picchiati e umiliati davanti ai propri studenti e di recente il Ministero dell’Istruzione ha trasferito diversi insegnanti sciiti da cattedre presso il ‘Bahrain Training Institute’ a posizioni che non rispecchiano le loro competenze accademiche. Il governo ha inoltre revocato diverse borse di studio e in alcuni casi espulso studenti sciiti alcuni dei quali sono stati arrestati e condannati, come nel caso di Mohamed AbdulNabi Abdulla. 

E’ perciò inaccettabile che uno degli Atenei più importanti in Italia e in Europa come la Sapienza, simbolo della libertà di pensiero e di espressione, si presti a tali collaborazioni che non sono altro che delle trovate pubblicitarie per ‘coprire’ e ‘ripulire’ il nome del Bahrain agli occhi della comunità internazionale. Nonostante i sostenitori di tale collaborazione ritengano che tale cattedra possa essere un modo per promuovere la tolleranza religiosa e la libertà di culto, i fatti parlano chiaro: la discriminazione sistemica della comunità sciita rimane e sta in realtà peggiorando. E’ necessario  che la Sapienza riconosca come tale collaborazione serva soltanto a promuovere l’idea fittizia che il Regno del Bahrain sia un luogo tollerante e a preservare uno status quo in cui i membri della comunità sciita sono costantemente vittime di abusi.